Alcune settimane fa dopo circa 20 anni dall’ultima volta, ho trascorso un pomeriggio tra le vie del quartiere Carmine di Brescia. Rincasando, quel giorno ricordo una piacevole sensazione positiva, di fiducia nelle cose e nelle persone che avrei poi riconosciuto come “ottimismo”.
Questo antico quartiere si è sempre distinto in tutta la Provincia per la sua fama di zona malfamata, un ghetto vero dove il peggio del genere umano era confinato tra sporcizia e rovina per vivere ai margini, abusare di alcol, droga e delinquere. Una storia di decadenza iniziata nella seconda metà del Settecento per tutto l’Ottocento e proseguire nel Novecento. Fino agli anni 90’ quando abbandonato dai residenti è la destinazione obbligata dei flussi immigratori, prima interni dal sud Italia e successivamente dal resto del mondo.
Tutto e tutti indicavano che li non bisognava andare perché “noi” non eravamo come “loro” e anche il semplice contatto con quelle strade e quelle persone portava a indicibili pericoli.
Chi visita il quartiere oggi e lo aveva visto in passato, stenterà a credere ai propri occhi. Il “progetto Carmine” con il coinvolgimento da una parte dei proprietari degli edifici e dall’altra dell’Amministrazione cittadina, in dieci anni ha cambiato il volto di questa parte del centro storico. Gli edifici sono per la maggior parte recuperati così come i monumenti e le strade. Una gradevole tavolozza di colori, un succedersi di facciate ordinate ed elementi decorativi dei portoni, finestre e terrazzi messi in risalto da un accurato restauro. L’elegante pavimentazione del dedalo delle vie strette. Numerosi i piccoli slarghi, angoli, micro-piazze, abbelliti con fioriere e piante ornamentali. Tutto sembra invogliare a fermarsi, stare, confrontarsi, ascoltare. Un’esaltazione del pubblico piuttosto che del privato che contamina anche i ristoranti e bar, che ai piani terra fanno di tutto per essere più fuori che dentro, ricavando ovunque possibile tavoli all’aperto e contribuire a questa nuova primavera.
L’architettura della città costruita, così rinnovata, mi richiama l’immagine di una “matrice”. Lo spazio urbano dignitoso che attraverso la sua struttura contenitiva ed ugualitaria aiuta a dare dignità anche alle persone che lo vivono. Un recinto inclusivo dove le opportunità sono condivise e la debolezza umana indotta dalla sofferenza è arginata. Un livellatore/inibitore dei contrasti che separano e allontanano.
Capisco a quel punto che l’ottimismo che provai quel giorno proveniva nel non aver visto persone costrette a dormire tra i rifiuti, e che i rifiuti nemmeno c’erano. Che stavo camminando senza paura che qualcuno potesse derubarmi qualcosa, perché osservando bene potevo vedere che questo qualcosa ce l’avevano anche gli altri, anche l’uomo con la Shalwar kameez o la donna col Sari. Nel vedere persone di tante razze diverse che si raccontavano storie agli angoli delle strade. Nel vedere negozi e ristoranti gestiti da ragazzi e ragazze che vengono dall’altra parte del mondo con dentro “noi” sorridenti che compravamo assaggiano specialità esotiche. Nel vedere opere d’arte urbana tra le architetture della città create chissà quando che rimangono lì e le persone le rispettano e ammirano sapendo che sono voci diverse che val la pena ascoltare.
Per saperne di più:
Quartieri che cambiano. Il Carmine di Brescia tra identità e riqualificazione