L’esigenza di manipolare la realtà.
Penso come potrebbe essere la nostra vita se le cose, i comportamenti, apparissero sempre per come sono realmente e interpretati sempre secondo inconfutabili criteri di oggettività. Nessuno lo sa probabilmente. Da osservatore è evidente quanto sia radicato l’istinto di “modulare” l’interpretazione altrui della realtà di azioni e prodotti delle azioni. A volte viene fatto deliberatamente per ottenere determinati risultati (es.pubblicità o controllo sociale) altre più innocentemente perché non siamo capaci di fare diversamente o ci vergogniamo di mostrarci per quello che siamo.
L’architettura come risultato delle azioni degli uomini non fa eccezione.
L’intervento sul costruito, racconto e memoria dei fatti.
Il dibattito che si è animato a seguito dei drammatici eventi che hanno portato alla perdita del tetto della cattedrale di Notre-Dame a Parigi ha mostrato come la questione su originale/falso sia sentita. Molti si sono affrettati a segnalare come la struttura crollata fosse relativamente recente rispetto all’impianto originale. Altri si sono spinti a sostenere che in termini filologici si trattasse di un potenziale falso.
Quello che è perduto lo è per sempre. Una copia non sarà mai l’originale. L’operazione stessa del restauro prevede che le nuove opere aggiunte siano sempre chiaramente riconoscibili nella necessità teoretica di separare le due valenze documentali. La prassi metodologica accademica implica anche il concetto di “reversibilità” intesa come la possibilità di ritornare al punto di partenza eliminando le aggiunte se necessario. Il restauro secondo i dettami classici, potremmo quindi dire, rifiuta ambiguità e persegue la verità.
Un’occasione per provare a individuare nuove possibilità.
Di fronte all’impatto emotivo causato dal crollo, considerando la funzione dell’edificio che riveste una fortissima valenza simbolica, sono legittime le dichiarazioni di chi vorrebbe una fedele ricostruzione.
La casualità degli eventi combinata all’importanza del monumento, ci fornisce però un’importante occasione per provare a discutere sulla possibilità di sperimentare un modo nuovo di agire attraverso l’architettura.
Facilitare la lettura della stratificazione architettonica.
Essere contemporanei significa forse oggi più che mai agevolare l’interpretazione della realtà. Le persone che visiteranno l’edificio si dovranno trovare nella condizione di poterlo “leggere” individuando facilmente la sua stratificazione. Evitando di confondersi davanti a una copia. Credo non ci sia nulla di male nell’accettare la perdita di una parte e nel renderne esplicita la vista. Trasformare questa nuova condizione anche se non desiderata in un’occasione per “fare cose nuove” attraverso una proposta progettuale.
Progettare senza l’ego.
Nel pensare alla possibile soluzione progettuale è auspicabile non perdere di vista la necessità di considerare un corretto rapporto tra l’uomo inteso come soggetto che sperimenta e vive lo spazio e la costruzione. Il rischio è di approcciarsi al progetto assumendo la “scala” sbagliata. La scala in discussione é quella di una costruzione per gli uomini, fatta per essere vissuta nella proporzione reale tra uomo ed edificio.
É necessaria grande delicatezza e umiltà. La tendenza umana a percepirsi centrali rispetto a quanto ci circonda si traduce in una visione di noi dall’esterno. Come su un plastico abbiamo bisogno di ricondurre le proporzioni in una scala che permetta di studiare i rapporti spaziali e i loro effetti secondo una focale esterno/lontano. Paradossamente la nostra esperienza spaziale reale con le cose si produce al contrario da interno/vicino.
Il pensiero congiunto latente in risposta al nostro bisogno di verità.
Forse sarà un caso, ma è sorprendente osservare come tutte le idee circolate ad oggi sul possibile recupero della copertura andata distrutta prevedano l’uso del vetro. Qualcuno ha ipotizzato di ricostruire il tetto ricavando però una serra fruibile con spazi verdi, altri ipotizzano un involucro trasparente ma anche in grado di produrre energia rinnovabile.
Sembra che uno spontaneo pensiero inconscio collettivo si sia messo in movimento per dare una risposta che risulta la stessa: trasparenza e modernità. Forse un segnale anche per la chiesa cattolica. L’architettura di un edificio di culto è un simbolo di purezza ed onestà e cosa meglio di un materiale che lascia vedere attraverso può rappresentare queste virtù.
Di seguito alcuni preliminari punti comuni che tutti sembrano individuare nelle proposte per il recupero della cattredrale gotica francese:
- Il connubio tra la luce e leggerezza della struttura in vetro con lo stile gotico;
- Il dialogo possibile tra la leggerezza apparente degli archi rampanti gotici e il reticolo di una struttura metallica di una copertura vetrata;
- Architettonica francese ha nel DNA l’uso del ferro e vetro;
- Manifesto per sensibilizzare su tematiche ambientali attraverso applicazione di principi di bioclimatica;
- Produrre un “Segno” a memoria del ricordo di un evento che non ha senso cancellare;
- Aggiungere una funzionalità recuperando uno spazio che altrimenti non sarebbe mai stato possibile usare.
